top of page

Intervista per Valory App su canale Instagram sulla violenza verbale

Si parla di rispetto, rispetto per la figura della donna, ma quali sono gli stereotipi a cui ancora la donna va incontro e che questo rispetto invece lo limitano?

Nonostante il periodo attuale sia un periodo in cui siamo bombardati di informazioni tramite internet e social network, c’è un mantenimento a tutt’oggi di moltissimi stereotipi in particolar modo riguardanti il permanere della donna all’interno di situazioni o relazioni di abuso, intendendo con questo termine abuso non solo fisico ma anche psicologico e quindi emotivo. La donna sempre più spesso viene colpevolizzata, definita debole e per questo quasi meritevole di vivere determinate tragiche situazioni. Il rispetto per la donna che si trova a vivere queste situazioni passa innanzitutto per una corretta informazione e sensibilizzazione su quelli che sono i meccanismi alla base di una comunicazione violenta e manipolativa, che può generare in chi la subisce colpevolizzazione e difficoltà di distacco, e di quelli che sono i meccanismi che fanno sì che la donna purtroppo permanga in una situazione di violenza. E’ proprio a causa di questi stereotipi che spesso la donna si ritrova sola e teme di rivelare le situazioni in cui vive per la paura di sentirsi colpevolizzata ulteriormente e non ricevere aiuto in ogni caso. Spesso proprio da chi le è più vicino e dovrebbe invece manifestarle comprensione ed appoggio. Cominciamo quindi a capire insieme come identificare un tipo di comunicazione violenta, non solo nelle relazioni di coppia ma anche in amicizia, come contrapporre un tipo di comunicazione non violenta, maggiormente empatica e rispettosa sia per i propri sentimenti che di quelli altrui, e quali sono i meccanismi alla base di una comunicazione manipolativa e cosa mantiene la donna all’interno di un ciclo di violenza. 

Cosa si intende allora per comunicazione violenta e non violenta e quali sono gli indici che ci fanno rendere conto che la comunicazione è priva di rispetto? Come bisognerebbe comunicare?

Definiamo come comunicazione violenta un tipo di comunicazione che blocca l’empatia reciproca tra chi parla e chi ascolta. Non da la possibilità di comprendere sentimenti e bisogni dell’altro sia dal punto di vista di chi parla sia dal punto di vista di chi ascolta. Implica l’uso di giudizi moralistici, l’incolpare, l’umiliare, etichettare e fare paragoni. Sono messaggi in cui viene usato in particolar modo il pronome “tu”, quindi “tu sei...egoista, cattiva...”.

Anche la negazione della propria responsabilità verso un atto che si è compiuto è un tipo di comunicazione che rende distanti tra loro parlante e ricevente e offusca la consapevolezza dei fatti, dei propri pensieri e delle proprie azioni. Ad esempio, quando qualcuno ci dice o diciamo a qualcuno “mi fai sentire in colpa”, stiamo negando la responsabilità personale dei nostri sentimenti e dei nostri pensieri. Neghiamo la responsabilità delle nostre azioni quando le attribuiamo ad azioni altrui ad esempio “ho picchiato mia moglie perché è uscita con le amiche” o anche quando attribuiamo le nostre azioni a impulsi incontrollabili: “ le ho risposto in malo modo perché sono stato sopraffatto dalla rabbia”. Un’altra caratteristica di una comunicazione aggressiva è comunicare i propri desideri in forma di pretese e punire con minacce e sensi di colpa chi non si conforma ad esse.

La comunicazione non violenta o assertiva è un tipo di comunicazione che rafforza invece la nostra capacità di connetterci con noi stessi e con gli altri anche nelle situazioni più difficili. Ci guida nel nostro modo di esprimerci ascoltando noi stessi e gli altri e anziché limitare le nostre reazioni a reazioni automatiche e abituali, le parole diventano delle risposte coscienti basate sulla consapevolezza di ciò che percepiamo, sentiamo e vogliamo. Riusciamo così ad esprimerci con onestà e chiarezza dando allo stesso tempo agli altri un’attenzione rispettosa ed empatica. Ci troviamo in un atteggiamento che è nel mezzo tra l’essere aggressivi e l’essere passivi. Il modello di una comunicazione non violenta si basa su 4 componenti: 1) osservazione. Cosa osserviamo alle altre persone dire o fare, che sta arricchendo o no la nostra vita. Il trucco è articolare questa osservazione senza introdurvi nessun giudizio ma dire semplicemente quello che altre persone fanno che a noi piace o non piace. Separiamo quindi l’osservazione dalla valutazione. 2) in seguito affermiamo come ci sentiamo quando osserviamo questa azione: siamo tristi, spaventati, gioiosi, irritati, ecc. 3) diciamo poi quali sono i nostri bisogni collegati a questi sentimenti che abbiamo identificato e 4) cosa vogliamo dall’altra persona; la nostra richiesta che potrebbe arricchire la nostra vita e renderla migliore Allo stesso modo quando l’altro utilizza con noi questo tipo di comunicazione possiamo connetterci allo stesso modo percependo ciò che osserva, sente, i suoi bisogni e la sua richiesta. Ad esempio in una situazione di conflitto potremmo comunicare in questo modo “mentre stavo parlando hai girato le spalle, quando vedo questo mi sento molto irritata perché avrei invece bisogno di essere ascoltata e di discutere con te serenamente. Possiamo sederci e parlarne?” Questo tipo di comunicazione implica rispetto per noi stessi e per i nostri sentimenti, cosa non sempre facile, e per gli altri. E’ rimanere autentici. La comunicazione non violenta implica sicuramente impegno perché le risposte positive arriveranno dopo un po’ di tempo, perché se il nostro stile comunicativo è sempre stato passivo o remissivo, non tutti saranno contenti di un nostro cambiamento. Cambiare comporta tenacia nel mantenere questo nuovo stile comportamentale che porterà i suoi benefici soprattutto perchè potremo noi stessi essere un modello per gli altri nel comunicare in modo più empatico, e coraggio perché potremmo ricevere risposte che non ci piacciono e perché potremmo dover ridefinire a volte i termini di una relazione.

Possono avvenire anche tentativi di manipolazione nella comunicazione?

All’interno della comunicazione in particolare nella coppia, possiamo assistere a distorsioni della comunicazione che assumono l’aspetto di vere e proprie forme di violenza psicologica. Queste forme di comunicazione sono molto insidiose, sono fatte di silenzi ostili alternati a parole pungenti, e se si viene catturati da questi meccanismi, possono esserci esiti di ferite profonde. Parliamo del fenomeno del gaslighting. Il termine deriva da un’opera teatrale del 1938 “gaslight” e tratta di un marito che cercava di portare la moglie alla pazzia manipolando piccoli elementi dell’ambiente e insistendo  che la moglie sbagliasse o si ricordasse male nel notare questi cambiamenti. Il titolo deriva dall’affievolimento delle luci a gas da parte del marito, che la moglie nota ma che lui adduce alla fantasia di lei. Quindi il gaslighting è un comportamento manipolatorio messo in atto da una persona per far si che l’altra dubiti di se stessa e si senta confusa e sbagliata. Questa violenza annulla la capacità di giudizio e autonomia valutativa della vittima. Spesso questo comportamento è adottato dal coniuge abusante per punire o allontanare l’altro quando si vivono rapporti conflittuali o ci sono rapporti extraconiugali. Può nascere anche in rapporti precedentemente sani in cui per frustrazioni a cui non sa reagire, il coniuge abusante attua cattiverie gratuite e molestie. Esempi di comunicazione violenta in questo caso possono essere “sei grassa, magra, brutta...”, “non capisci niente”, “o denigrare davanti ad altri “sapete, non sa fare nulla”. Il gaslighting si articola in più fasi: 1) distorsione della comunicazione con silenzi ostili alternati a critiche pungenti. La vittima si troverà così in uno stato di confusione. 2) la seconda fase vedrà un tentativo di difesa. La vittima cercherà di convincere l’abusatore che quello che dice non corrisponde a verità e proverà con il dialogo a far cambiare il comportamento del gaslighter. 3) nella terza fase la vittima si convincerà che ciò che dice l’abusante nei suoi confronti corrisponde a verità; diventa vulnerabile, dipendente e depressa. La violenza così si cronicizza.

Comprendere queste dinamiche comunicative aiuta e aiuta anche l’utilizzo di una comunicazione onesta sulla nostra percezione del rapporto. In questo tipo di comunicazione è improbabile che l’aggressore cambi, ma è importante per la vittima mantenere in maniera assertiva la sua idea, avere consapevolezza e rispetto dei suoi sentimenti e ricordarsi di essere una persona amabile e capace indipendentemente dall’opinione del gaslighter.

Ma come mai a volte è così difficile per una donna venire fuori da una situazione di violenza?

Ci chiediamo spesso perché una donna permanga in una situazione di violenza e spesso alla donna stessa si addossano in maniera molto superficiale colpe che non ha. I meccanismi che sottostanno ad una comunicazione aggressiva e manipolatoria spesso sono molto sottili come abbiamo visto nel gaslighting e se non li si conosce è facile restarne avvinghiati, così come nella violenza vera e propria.

Le situazioni di abuso hanno un modello comportamentale simile che si ripete in maniera ciclica. Questo ciclo viene definito dalla Walker “ciclo della violenza”. Il permanere in questo ciclo comporta seri danni per la salute psicologica della donna. Nella prima fase si assiste ad un graduale aumento della tensione caratterizzato da frequenti liti e atteggiamenti violenti. Non ha una durata precisa ma si susseguono momenti di tensione e momenti in cui la vittima cercherà di adottare comportamenti che non infastidiscano l’aggressore pensando di poter risolvere questi conflitti. Spesso tende ad incolparsi e ricordiamo, può essere vittima di gaslighting giustificando il comportamento dell’aggressore come dovuto a delle sue mancanze. Ogni volta che si verifica un’incomprensione, la tensione aumenta e sfocia nell’aggressività data anche dalla passività stessa della vittima. Si arriva dunque ad una fase di totale mancanza di controllo da parte dell’aggressore e si verifica violenza fisica, psicologica o anche sessuale. La vittima tende ad isolarsi sentendosi impotente. Quello che mantiene il ciclo è un meccanismo chiamato “rinforzo intermittente”.

Il rinforzo intermittente alterna il rinforzo, una conseguenza che porta alla ripetizione di un comportamento, alla punizione, una conseguenza che riduce il comportamento attuato in precedenza. Le relazioni basate su questa intensità sono inoltre simili ad una dipendenza da gioco, droghe o alcol, e l'interazione con un partner narcisista favorisce uno schema specifico di comportamento che provoca una dipendenza emotiva vera e propria, data da un’ oscillazione di  momenti “alti” in cui la persona, attraverso il rilascio di dopamina, sperimenta euforia e di momenti “bassi”, questi ultimi in misura maggiore, durante i quali appare forte il desiderio di tornare alle sensazioni piacevoli sperimentate in precedenza.

Il rinforzo positivo come ad esempio lodi, apprezzamenti, sesso, ecc, verrà desiderato dalla vittima per alleviare l’ansia, l’angoscia e la paura di una punizione, soprattutto in caso di abusi fisici e sarà attuato dal manipolatore successivamente a comportamenti che desidererà che la vittima aumenti verso di lui (attenzione, ammirazione). La dopamina in questo caso sostituirà l’adrenalina, prodotta invece durante l’esposizione a situazioni stressanti, creando benessere.

Può accadere che in caso di mancanza di attenzioni, il manipolatore si ritiri emotivamente creando nella vittima ansia e portandola a dimostrazioni d’affetto per alleviare queste sensazioni spiacevoli ed il timore di ripercussioni pericolose per se stessa o per i propri figli. Successivamente, per rinforzare questo comportamento di accudimento nei suoi confronti, agirà nuovamente come una persona attenta, romantica, interessata ed amorevole. Ansia e dubbi saranno quindi sollevati, ma solo momentaneamente.

Questo tipo di comportamento è in grado di rafforzare in modo sbalorditivo l’attaccamento mantenendo un legame traumatico (trauma bonding) ed il controllo sul partner dipendente, che difficilmente riuscirà a sottrarsi poiché inconsapevole di tale dinamica e, pur avendo subìto continue minacce e colpevolizzazioni,  rimarrà in attesa di quell’euforia sperimentata in un raro momento di tranquillità. Per porre fine al ciclo della violenza, la vittima deve essere consapevole della sua situazione. Solo partendo da questa consapevolezza potrà iniziare a ricercare e ricevere l’aiuto professionale di cui ha bisogno e cominciare a riprendere in mano la sua vita distanziandosi e ponendo dei limiti alla relazione.

Ma queste dinamiche, o simili, quindi una comunicazione aggressiva e tossica, può avvenire anche in un rapporto di amicizia?

Si, in un’amicizia l’abuso o il semplice stuzzicarsi dipendono dall’impatto che hanno sulla persona che subisce. In amicizia, una comunicazione tossica è una comunicazione che non rispetta determinati limiti imposti dall’altro. A volte una comunicazione di tipo aggressivo si sviluppa attraverso ironia, sarcasmo e messaggi tra le righe che vengono captati da chi li subisce e a volte nonostante le manifestazioni di disagio queste manifestazioni vengono purtroppo mantenute. Questi messaggi tendono a sminuire il valore dell’altro e le critiche vengono poste in maniera distruttiva e non costruttiva, tendendo ad evidenziare esclusivamente aspetti negativi senza fornire nessun suggerimento propositivo. In questo tipo di amicizia non vi è reciprocità, con alla base un pensiero egoistico che vede i propri problemi più importanti e prioritari rispetto a quelli dell’altro. Anche in questo caso una comunicazione assertiva può renderci consapevoli delle sensazioni che proviamo all’interno della relazione e può darci la possibilità di condividerli in un’ottica di rispetto verso se stessi, cercando di capire se il nostro amico ha egli stesso dei bisogni e quali emozioni vi siano alla base.

bottom of page